IL FANTASMA DEL DEMAND SENSING
2015-03-24
Aree di interesse : Gestione delle scorte
SUPPLY CHAIN- APPROVVIGIONAMENTI
La consapevolezza dell'importanza di una correttaprevisione della domandaè ormai un dato acquisito non solo a livello delle Aziende "best-in-class", ahinoi troppo spesso non localizzate nel nostro Paese, bensì in modo diffuso.
Sono decenni che si lavora intorno a prassi organizzative, procedure operative, strumenti di supporto che possano aiutare le Aziende a ottenere col giusto anticipo le informazioni relative alla domanda, che consentano alle loroSupply Chaindi reagire per tempo, con la massima efficacia e col minimo dispendio di energie e di costi.
Come in ogni campo, anche in quello della previsione della domanda si assiste a una continua evoluzione in termini di "filosofie", di metodiche, cui giustamente vanno dietro i più aggiornati strumentisoftware(o sono iVendordelsoftwareche creano le "mode"?).
Oggigiorno il vero e proprio "Santo Graal" del pianificatore della domanda, la pura linfa vitale che dovrebbe alimentare ogni strumento o algoritmo a supporto delforecast, è rappresentato da quella chimera che è la conoscenza della "vera domanda".
Col termine "vera domanda" ci si riferisce alla domanda di quei prodotti o servizi che i consumatorirealmente vogliono. Per i rivenditori, la storia della "vera domanda" può essere mascherata da fenomeni di mancanza (stock-out)nel punto vendita, eventualmente suppliti dalla vendita di articoli sostitutivi.
L'obiettivo per iretailer(e per i loro fornitori...) è quello di centrare altissimi obiettivi di quella che viene definita "On-shelf avalilability" (OSA, secondo i soliti acronimi cui ci deve abituare), ossia più prosaicamente la disponibilità di prodotto sullo scaffale del negozio, per minimizzare i già citati fenomeni distock-oute quindi per massimizzare le vendite, per non dire del fatto che una piena disponibilità consentirebbe di far coincidere il venduto con la famosa "vera domanda".
Naturalmente, ciò va fatto senza tuttavia cadere nell'errore opposto, che è quello di produrre, stoccare e trasferire inutili quantità di prodotti che la gente non vuole e che si trasformano in intollerabili extra-costi. Da qui, l'importanza delle previsioni.
La "vera domanda", poi, è ancora più sfuggente per le aziende che stanno "a monte" dei rivenditori nella catena d'approvvigionamento, perché essi sono costretti a stimare la "vera domanda" a partire dagli ordini ricevuti da dettaglianti o grossisti, ordini che intermediano la "domanda vera" con tutte le distorsioni derivanti dalle politiche di riordino e di stock di ogni singolo anello della catena produttiva e distributiva.
Paradossalmente, la disponibilità di informazioni aggiornatissime, in tempo reale, su portali web B2B oB2Co grazie a strumenti di SFA (Sales Force Automation) circa la disponibilità dei prodotti ha finito col generare un'ulteriore distorsione: infatti, i Clienti tendono a non ordinare ciò che non è disponibile o che potrebbe non esserlo in tempi semi-immediati, senza che vi siano modi concreti ed univoci per sapere se e cosa avrebbero acquistato con la piena disponibilità di tutti i prodotti in assortimento.
Insomma, si perde il segnale di una domanda potenziale che invece è possibile registrare e conservare quando l'ordine è fatto in modo incondizionato, facendo ricorso a strumenti più tradizionali. E quindi, quel che (apparentemente) non è richiesto non verrà più previsto e quindi prodotto e distribuito, perpetrando così un circolo vizioso di cui magari non si verrà neppure a conoscenza.
È quindi da diversi anni che la "via maestra" per avvicinare sempre più i dati che alimentano i sistemi di forecast alla "vera domanda" è ravvisata nella collaborazione tra i diversi attori che operano all'interno della filiera. In particolare, i punti vendita (POS,point-of-sales) possono - o meglio: potrebbero - essere delle preziosissime fonti della più pura delle informazioni, ossia di una più che mai aggiornata e dettagliata visione di ciò che i consumatori hanno realmente preferito (al netto deglistock-out, naturalmente).
Purtroppo, gli approcci collaborativi (come ad esempio il famoso CPFR, ossia ilCollaborative Planning, Forecasting and Replenishment) non hanno sortito i risultati che teoricamente ci si aspettava.
E questo non perché le premesse teoriche o i fondamenti di tale approccio fossero non corretti, ma per le forme di resistenza pratica alla condivisione di informazioni e di strategie che - specie ai più alti vertici aziendali - sono ancora considerate (specie da chi non si occupa diplanning) come importanti leve negoziali, quindi fonte di potere, senza che i documentati extra-costi di un tale atteggiamento di chiusura siano mai davvero riusciti a rovesciare le sorti di queste prassi, a parte ovviamente qualche "classico" esempio di successo ritrovabile in letteratura.
Tra l'altro, nel frattempo ci si è anche resi conto che finanche le forme di collaborazione più "spinte" non sortiscono i loro effetti se all'interno delle singole organizzazioni e aziende non si è in presenza di un processo maturo e consolidato di pianificazione, opportunamente supportato da strumenti adeguati.
Ad ogni buon conto, archiviati o quasi gli entusiasmi precedenti per il CPFR, ecco che - coerentemente con la volontà di intercettare, capire al volo e rispondere alla "vera domanda" - le aziende si sono concentrati su di un nuovo concetto che, va da sé, ha subito generato un ulteriore nuovo acronimo: stiamo parlando delderniercri, ossia della cosiddettaDemand Driven Supply Networks(DDSN), ossia di una catena di produzione e distribuzione guidata e "tirata" dalla "domanda vera", una definizione che si pone polemicamente nei confronti di un concetto che in pratica è lo stesso, ma che rischia di apparire un po' tristemente demodè: laSupply Chain, ossia una catena in cui a guidare era la fornitura.
Disporre, nel più fortunato dei casi, dei tanto desiderati dati dei POS - la domanda alla "sorgente, quasi per definizione, ossia al netto dell'OSA - pone comunque, per poterli utilizzare positivamente e in tempi brevi, una serie di problemi concettuali, ma anche pratici e tecnologici, che in sostanza possono essere ricondotti, senza entrare nei dettagli, alla tematica dei "big data" e della loro elaborazione.
Proprio per affrontare i succitati problemi, si sono fatti largo di recente metodologie e strumenti software che fanno riferimento alle (non sempre chiarissime da interpretare) denominazioni di Demand Shaping e di Demand Sensing. Le due cose non sono necessariamente correlate, ma vale la pena comunque di considerarle assieme.
IlDemand Shapingpuò essere descritto come l'attività conoscitiva, analitica, di modellazione che è preparatoria a quella serie di sforzi organizzativi e operativi che le aziende fanno per ridisegnare, nei limiti del possibile, la forma della domanda, per evitare o quantomeno minimizzare quelle oscillazioni e irregolarità che tanto fanno male alle Supply Chain (e che in particolare rendono difficile il forecast su base storica), oscillazioni che spesso poco hanno a che vedere con ciò che il consumatore finale davvero desidera, ma che sono piuttosto autoindotte dalle aziende stesse (promozioni, necessità di ben figurare in Borsa a finequarter, obiettivi dei venditori etc.), ossia alDemand Levelling.
Chi tra voi ha un ruolo operativo inSupply Chaincapirà bene che in realtà spesso le Aziende (o meglio, il loroMarketinge le loro Vendite, ossia quelli che "hanno il coltello dalla parte del manico") spesso fanno l'esatto contrario delDemand Levelling, attivando promozioni, incentivi e chi più ne ha più ne metta: tuttavia, è anche vero che si sta diffondendo una sempre maggiore consapevolezza circa i costi totali di gestione di un prodotto, ivi inclusi quegli extra-costi generati da una catena che deve gestire ampie oscillazioni di scorte e picchi nelleoperations.
C'è quindi da sperare che ilDemand Shapinge ilDemand Levellingpossano davvero prendere piede, grazie anche a "filosofie" come l'EDLC (everyday low costs) che si contrappongono quelle della più classica serie ininterrotta di promozioni o a diverse modalità di incentivare la propria forza vendita, sfasandone gli obiettivi nel tempo.
IlDemand Sensing, invece, è un insieme di tecniche algoritmiche basate sull'analisi tempestiva di ampie serie storiche "freschissime" (i famigerati "big data" ottenibili dai POS) correlate a un numero di variabili di contesto (clima, promozioni, andamento economico etc.), che si propone l'obiettivo di prevedere i repentini cambiamenti di domanda "vera" nel breve-brevissimo termine, cosa che appare molto importante soprattutto in questi periodi di recessione, per anticipare con i minori danni possibili i cambi di direzione della domanda, sia a crescere sia a calare.
Ovviamente, visto appunto il respiro di breve-brevissimo termine che si promette per la maggiore affidabilità delle previsioni, le effettive possibilità che poi le Aziende e le Supply Chain hanno di reagire alla revisione delle precedenti previsioni è legata a doppio filo alla loro "flessibilità" e "reattività" (quantomeno alla capacità di post-porre le decisioni).
Infatti non è raro trovare chi, non senza qualche ragione ad onor del vero, obietta circa l'utilità delDemand Sensingquando le correzioni al forecast siano disponibili in un orizzonte temporale più breve dellead-timedell'ultima azione spendibile efficacemente da parte dellaSupply Chain, in quanto a quel punto ogni correzione è inutile, non potendo dare la stura ad alcuna decisione operativa.
D'atro canto, questa è una visione forse un po' polemica e parziale della faccenda, in quanto ilDemand Sensingpromette di correggere il forecast in funzione di una specifica "sensibilità" che lo strumento ha nei confronti degli avvenimenti più recenti, ma non solo ilforecastdi brevissimo termine viene rivisto (e su quelle effettivamente ci si può fare poco o nulla), ma anche quello di più lungo corso, che verrebbe quindi opportunamente "rimodellato" a tutto beneficio delle decisioni da prendere.
Ad ogni buon conto, non si può fare a meno di osservare come le aziende "Best-in-Class" stiano investendo cospicue risorse in strumenti a supporto delDemand Sensing: si veda ad esempio questo interessante articolo recentemente pubbilcato daIDC Manufacturing Insights, dove si mostrano statistiche di mercato che indicano come la crescita del fatturato delle soluzioni diDemand Sensingsia più che proporzionale alla crescita degli investimenti complessivi nella Supply Chain.
A questo riscontro oggettivo fa anche eco un altrettanto recente studio dellaUniversity of North Florida(UNF), che ha effettuato un lungo ed articolatosurveysuidrivere suitrenddi adozione di soluzioni diDemand Sensingpresso varie aziende mondiali (come dimensione e anche come collocazione geografica).
Nel prossimo articolo, ci faremo carico di darvi una visione più ampia dei risultati di questa ricerca: per ora, in sintesi, si può dire che ad adottare strumenti diDemand Sensing– affiancandoli in realtà strumenti più tradizionali di previsione - siano le aziende che già sono leader nella logistica (forse perché hanno più sensibilità, proprio in quanto leader, nei confronti del valore aggiunto che certe tecniche possono offrire, o forse solo perché sono aziende più "ricche" e strutturate) e che i maggiori investimenti sono stati fatti proprio all'apice della crisi (vedi figura).
A rivolgersi a questo tipo di soluzioni sono state le aziende con maggiori potenzialità in termini di riduzione delle scorte e quelle che hanno una grande sensibilità alla presenza delle proprie merci sugli scaffali della GDO, ossia le aziende CPG (Consumer Packaged Goods). A quanto parrebbe, vi sono alcuni "casi di successo" documentati in letteratura diffusa pubblicamente: ne parleremo alla prossima occasione.
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