IL VERBO DEI GURU DEL MANAGEMENT (5° PARTE)
In occasione del Word Business Forum c'è stata la possibilità di ascoltare, tutte insieme, personalità di spicco del mondo del management internazionale (Giuliani, Porter, Welch, Kotler, Peters, Dallocchio e Covey).
L'intervento che proponiamo in questa edizione è quello di Maurizio Dallocchio, Rettore dell'Università Bocconi, che torna a puntare il focus della discussione sul contesto economico italiano.
Dallocchio pur analizzando nel suo intervento quali siano i freni infrastrutturali del sistema economico italiano, tratta quest’argomento con ottimismo. E’
infatti dal superamento di questi freni che il sistema Italia può esprimere tutta l’energia potenziale che già possiede; si perché l’Italia è ricca di casi di successo, di opinion leader, di “imprenditori illuminati”, di aziende che competono a pieno titolo in un contesto mondiale.
Ma come mai questa energia potenziale non riesce a trasformarsi in energia cinetica? Parte delle risposte le si possono già trovare all’interno del “Rapporto 2003 World Economic Forum” dove l’Italia è risultata essere, su 102 paesi, al 41° posto per GCI (Growth Competitiveness Index) e al 24° per BCI (Business
Competitiveness Index).
Il GCI è a sua volta funzione di 3 indicatori: 28° posizione per ambiente macroeconomico (scarsa fiducia vs politica, timore per l’inflazione, utilizzo inefficacie delle risorse pubbliche, aspettative di recessione); 46° posizione per efficacia/efficienza delle istituzioni pubbliche (criminalità organizzata, evasione fiscale, favoritismo nelle decisioni politiche); 44° posizione per livello tecnologico (basso utilizzo nelle aziende, bassa promozione all’utilizzo, accesso ad internet nelle scuole).
Il BCI è funzione di due sotto indici: 24° posto per efficienza aziendale (inadeguati investimenti in R&S, basso coinvolgimento manageriale nel governo delle imprese, insufficiente formazione del personale); 24° posizione per contesto operativo (relazioni tra datori di lavoro e dipendenti, restrizioni su diritti di proprietà per gli stranieri, iter amministrativo per avviare una nuova impresa).
Le anteprime sui risultati del “Rapporto 2004 World Economic Forum” sono poco rassicuranti in quanto evidenziano un netto calo della competitività italiana (CGI 47° BCI 33° posizione).
Quali sono quindi in sintesi per il Rettore della Bocconi i freni per il rilancio dell’economia italiana? Innanzitutto il frazionamento del sistema. Dal censimenti Istat 2001 si evince che il numero di aziende in Italia dal 1971 è pressoché raddoppiato ma solo il 9.7% di queste occupa più di 6 addetti e di queste solo lo 0,1% più di 200. Tra le prime 1.000 aziende al mondo solo 23 sono italiane. Anche dal punto di vista politico non vi è una grossa differenza: anche le ultime elezioni europee hanno evidenziato che accanto a due grossi partiti vi sono una moltitudine di movimenti, gruppi che concorrono a frammentare il panorama politico. Niente di diverso nemmeno nel mondo fianziario in cui manca un vero e proprio polo di attrazione. Per Dallocchio questo eccessivo e diffuso frazionamento del sistema Italia porta principalmente ad una carenza di leadership.
Il secondo freno individuato è la centralità della banca. Questa eccessiva centralità se da un lato porta l’indubbio beneficio dei mantenere un giusto equilibrio nel sistema, dall’altro induce una forte aridità del sistema dei mercati finanziari. A differenza del sistema anglosassone dove sono le famiglie a finanziare le imprese attraverso i mercati finanziari, in Italia il principale ente di erogazione di finanziamenti è la banca. Questo sistema per Dallocchio comporta principalmente una scarsa trasparenza nel mercato (transazioni tra solo due individui) e poca capacità di generare flussi finanziari (non vi sono altre fonti di finanziamento se non le banche). Il terzo freno è la scarsa propensione alla ricerca e all’innovazione. Per supportare anche questo argomento Dallocchio mostra i numeri che con la loro asetticità dimostrano senza ombra di dubbio la veridicità della tesi. L’Italia in questo ambito è talmente poco competitiva verso i paesi più industrializzati (USA, Giappone, Francia, Germania, Regno Unito) che i suoi benchmark sono paesi come Grecia, Portogallo e Spagna che, dal punto di vista del tasso di crescita, stanno viaggiando ad una velocità di gran lunga superiore alla nostra. Ma chi deve fare di più nel settore della ricerca e sviluppo? Di primo acchito ci verrebbe da dire il Governo, certo in realtà facciamo talmente poco (poco più del 2% del PIL) che tutti gli attori dovrebbero fare di più, ma in realtà sono proprio le aziende che investono molto poco (e forse la causa di questo dato è ancora una volta riconducibile al problema del frazionamento del sistema).
Quarto freno allo sviluppo del nostro sistema economico sono i sistemi di governance delle aziende. Le imprese italiane molto spesso sono più legate alle capacità eccezionali dell’imprenditore piuttosto che ad un modello organizzativo o ad una squadra di management. Se non riusciamo a creare un modello di governance per le imprese (soprattutto quelle familiari) non creiamo le basi di un successo a lungo termine.
Quinto ed ultimo problema individuato da Dallocchio è l’autorefenzialità. Solo 26 aziende italiane hanno un rating internazionale, nel mondo i Bond unrated sono il 5% la metà di questi sono emessi da aziende italiane tra le più importanti come ad esempio Benetton Group, Prada, Ducati, Tiscali, Cirio (e di questi
meno del 5% sono in mano ad investitori istituzionali). Nel nostro sistema economico spesso si confondono notorietà della marca con la vera leadership e la solidità finanziaria.
Quali sono quindi le possibili soluzioni? Innanzittutto aprire i sitemi di governance a manager e professionisti esterni, passare da un sistema di sostegno alle PMI ad uno di sviluppo che supporti crescita e concentrazione, attuare una spinta verso i mercati finanziari trasformando il ruolo della banca da intermediario ad agente/promotore di mercato, rilanciare e sostenere ricerca e sviluppo, ma soprattutto l’Italia ha bisogno di ottimismo e di leader.
Per approfondire l'argomento Vi invitiamo a leggere la 6° parte dell'articolo
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